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Tommaso Speccher

La Porta di Brandeburgo



La Porta di Brandeburgo è sicuramente uno dei luoghi più fotografati, riprodotti e brandizzati della Berlino contemporanea. Chiunque veda la Porta di Brandenburgo è istintivamente portato a pensare a quel fatidico giorno, il 9 novembre 1989, quando migliaia di cittadine e cittadini di Berlino ovest cominciarono a scavalcare il Muro proprio lì davanti. Meno noto, ma ugualmente emblematico, è il fatto che quasi nessun cittadino dell’Est era presente, poiché ad Est l’area attorno alla Porta era sostanzialmente irraggiungibile e praticamente spopolata.


Qualche anno prima, nel 1987, Ronald Reagan aveva tenuto il suo discorso proprio lì davanti, utilizzando la famosa frase: “Mr. Gorbachev, tear down this wall!”. Sarà invece più tardi Kohl a passare sotto i colonnati neoclassici della porta, addirittura insieme a Papa Wojtyla. Insomma, il XX Secolo compattato ed inscatolato, pronto all’uso e al riuso simbolico.


Quella porta, in ogni caso, ci racconta qualcosa di più sulla storia della nostra amata città. Innanzitutto, con il suo anno di inaugurazione, il 1791, che fu fase di definizione e sistemazione di quello “spirito tedesco” che spesso sta sulla bocca di tanti e che trova proprio nel portone neoclassico costruito dall’architetto Carl Gotthard Langhans una delle sue definizioni più lampanti.

 

Sul modello dell’ingresso monumentale dell’Acropoli di Atene, l’architetto decise di dare forma a quel nuovo spirito filosofico che vagava per le corti tedesche che era sì segnato da un ritorno all’ordine naturale classico (ovvero della ricerca di armoniosità tra i livelli naturale, umano e divino) ma innanzitutto dalla urgenza molto più sociale e politica di pensare ad uno spazio e ad un ordine armonico per il cittadino. 


Quelle porte, che in molte città avevano determinato per decenni il controllo dei dazi e dei gabelli (a Berlino erano complessivamente 18), diventavano ora dei passaggi simbolici, indicanti l’entrata nella vita cittadina e nel discorso politico. Certo, il tutto pesantemente condito dai motivi della guerra, del conflitto e della Grande Prussia, segnata dalla dea della Vittoria in azione sulla quadriga di memoria romana nella parte superiore del frontone, mantenendo però al suo centro l’idea di una certa superiorità ed elevazione della vita cittadina. La potremmo quindi intendere come accesso alla modernità e al discorso pubblico.


Ma forse è proprio questa prerogativa dell’essere la porta più conosciuta al mondo che la traduce in “simbolo di un discorso pubblico e civile” come “misura del cittadino moderno”, e a segnarne crisi e fallimento. Prima dei contrasti della Guerra Fredda, infatti, fu il passaggio in marcia trionfale delle SA nel 1933 a raccontarci dei rischi della celebrazione vittoriosa e dell’esaltazione degli umani destini. Il Nazismo, la Guerra Fredda, la divisione della Germania… sono stati questi, nei decenni fino ad oggi, i riferimenti connessi a questo luogo.


Ma forse è proprio questa la sfida di tutte queste faticose commemorazioni: di segnare costantemente il passaggio ad un nuovo mondo, a nuove speranze, segnate sì dai paradossi della contemporaneità ma ancora fedeli all’idea di quel passaggio ad una vita cittadina migliore e più civile.

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